dell'avv. Angelo Leone
Notizie false, bufale e troll sono solo alcuni dei sinonimi del dilagante fenomeno, già esistente, ma sviluppatosi esponenzialmente con l’avvento dei social network e che, ad oggi, sembra pressoché inarrestabile arrecando ingenti e reali danni alla società.
Ancor di più in un periodo di sconforto e di paura sociale, quale quello che purtroppo stiamo vivendo a causa della diffusione del COVID - 19, in cui i creatori di fake news hanno trovato terreno fertile per la diffusione di un altro, ed altrettanto preoccupante, virus: la disinformazione.
Oltre al click baiting, ossia la creazione di finte notizie dai titoli eclatanti al solo fine di indurre l’utente ad aprire la propria pagina web per ottenere maggiori profitti, la produzione e la diffusione di false informazioni ha, prevalentemente, lo scopo di alterare e/o condizionare l’opinione pubblica e le abitudini dei cittadini rispetto ad uno specifico argomento.
Si pensi alle centinaia di notizie diffusasi in rete, completamente infondate, rispetto alla creazione nonché alle modalità di trasmissione del virus COVID - 19 poi smentite dall’OMS o da autorevoli virologi.
Notizie false che espongono gli autori a conseguenze, a nulla valendo i richiami all'esercizio del diritto di manifestare il proprio pensiero, costituzionalmente riconosciuto dall' art. 21 Cost.
Ciò alla luce dell'orientamento della Corte Costituzionale che, tramite la tecnica del bilanciamento, afferma come i valori indicati nella Carta fondamentale laddove confliggenti debbano subire un ponderato bilanciamento tra loro.
Di conseguenza, nel caso in cui si crei o si diffonda una notizia falsa, che non leda, però, alcun interesse giuridicamente tutelato, sia esso personale o commerciale, come ad esempio le bizzarre teorie dei "terrapiattisti", non si potrà incorrere in alcuna conseguenza prevalendo la libera manifestazione del proprio pensiero per quanto assurdo esso sia. A contrario, creare fake news lesive di altri beni giuridicamente tutelati, come la reputazione, la libera iniziativa economica o l’ordine pubblico, integra specifiche fattispecie di responsabilità penale e civile, a seconda del contenuto della notizia.
Brevi cenni sulle potenziali contestazioni in relazione al contenuto delle fake news
L’ipotesi di reato più comunemente riscontrabile a seguito della condotta di chi diffonde notizie false è senza dubbio la diffamazione: ossia la lesione dell’altrui reputazione, immagine o decoro.
L’applicazione del suddetto articolo rispetto al fenomeno delle fake news telematiche è ormai pacifica e numerose sono sul punto le sentenze della Cassazione.
Responsabilità in cui possono incorrere oltre oltre che le testate giornalistiche attive sul web, per imperizia o negligenza circa la verifica dell’attendibilità della notizia, anche i semplici utenti dei social network, Facebook, Twitter ecc..
Difatti, l’utente delle suddette piattaforme, ad oggi, può liberamente pubblicare qualsiasi notizia o commento ma, laddove il contenuto falso sia lesivo dell’altrui immagine, la condotta può integrare il delitto de quo con un danno esponenziale in quanto si raggiungono numeri “quantitativamente apprezzabili di persone”.
Anche se per dovere di completezza bisogna aggiungere che la giurisprudenza ha sottolineato che, in relazione alla diffamazione a mezzo social, l’attribuzione della responsabilità penale al “diffamatore”, per ragione di certezza del diritto, sarà possibile solo a seguito dell’individuazione dell’indirizzo informatico (IP) di provenienza.
Ciò in ragione della considerazione per cui spesso l'identità del profilo social utilizzato potrebbe essere fittizio oppure essere stato abusato tramite un’operazione di clonazione di un profilo o di hackeraggio.
Precisando che in tal caso l’addebito sarà a carico del singolo utente “diffamatore” e non dell’amministratore della piattaforma, salvo l’ipotesi in cui quest’ultimo sia messo a conoscenza (generalmente tramite segnalazione) del contenuto lesivo e, dolosamente o colposamente, non sia intervenuto. Ad oggi, infatti, non è legislativamente previsto alcun obbligo in vigilando a carico degli amministratori delle suddette piattaforme circa il monitoraggio preventivo delle pubblicazioni.
Un'altra potenziale responsabilità in cui incorre chi crea o divulga fraudolentemente notizie false, esagerate o tendenziose è quella prevista ex art. 501 c.p. che si ha quando si è provocato per esempio, "un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci”. In questo caso l’autore potrà essere punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 516 euro a 25.822 euro.
Questa distorsione dei mercati di non immediata comprensione, detta aggiotaggio, può essere semplificata con questi esempi: “il consumo continuativo di pane aumenta scientificamente la possibilità di contrarre il diabete” oppure “l’utilizzo della sola lavatrice prodotta dalla società x immunizza gli indumenti”.
E’ evidente così, anche ai profani dell’economia, che simili fake news inducano una possibile turbativa dei prezzi, tanto in diminuzione quanto in aumento, per effetto di una mutazione condizionata della domanda.
Reato definito a consumazione anticipata e di pericolo, che consente l'incriminazione a prescindere dall’effettiva realizzazione del danno essendo sufficiente la sola idoneità lesiva della condotta, purché fraudolenta.
Configurando il concreto verificarsi della distorsione, un aggravante.
Nel medesimo ambito commerciale, è altresì possibile che la condotta di colui che utilizzi o crei scorrettamente fake news o apprezzamenti per danneggiare un’azienda altrui, integri anche l’illecito civile della concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. , aspetto che volutamente trascuriamo in questo articolo per concentrarci sulle conseguenza penali .
Un'ulteriore peculiare condotta delittuosa affine alla creazione di fake news e molto diffusa in questo periodo di comune senso di solidarietà per le tragiche conseguenze della diffusione del Coronavirus è quella della truffa regolata dall’art. 640 c.p., che punisce “chiunque, con artifizi o raggiri, induca taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
Esempi di condotte di questo tipo, soprattutto in questi ultimi giorni, ce ne sono stati tanti: dalla pubblicazione di finte campagne di solidarietà a favore della Protezione Civile o dei singoli Ospedali all’affissione nei condominii di finti avvisi circa l’effettuazione di tamponi a domicilio.
Per di più, colui che diffonde i propri convincimenti fondati su bufale ma in grado di determinare nella collettività allarme sociale o evidenti turbamenti, potrà rispondere anche del delitto di istigazione alla disobbedienza ex art. 415 c.p.
Così come chi istighi, a mezzo social, alla trasgressione delle leggi volte alla tutela della sicurezza pubblica, in ragione di un ingiustificato, perché non fondato, rifiuto di rispettare i precetti.
Tuttavia la responsabilità per la creazione di fake news particolarmente allarmiste, lesive dell’ordine pubblico, non si esaurisce qui.
A norma dell’art. 658 c.p., potrà essere accusato del reato contravvenzionale di “procurato allarme”, chiunque annunciando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, susciti allarme presso l'Autorità, o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio. L’autore, in tale caso, verrà punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda da 10 euro a 516 euro.
A contrario, nel caso in cui vengano create o diffuse notizie false, esagerate o tendenziose, di per sé idonee a turbare l’ordine pubblico, l’autore, integrando il reato contravvenzionale ex art. 656 c.p, sarà punito, “se il fatto non costituisce più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 309 euro”.
La condotta potrà rimanere impunita, per difetto di colpevolezza, se l’autore dimostrerà di aver creduto alla notizia in forza di un errore oggettivamente scusabile. Un esempio, tra tanti, può essere la recente divulgazione sul web di un documento falso circa un presunto accordo tra il Governo e la Regione Lombardia sulle tempistiche di riapertura delle attività post COVID - 19.
Inoltre, la provocazione di un ingiustificato allarme nella collettività può integrare, altresì, l’illecito amministrativo “abuso della credulità pubblica” ex art. 661 c.p., punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 15.000. Ai fini della configurabilità, sarà necessaria sia l’impostura, ossia la tenuta di una condotta maliziosa volta direttamente ad ingannare, che l’abuso della buona fede della collettività.
Elencate molto velocemente le conseguenze, soprattutto penali, in cui incorre colui che crea notizie false, ci si domanda quali siano i rischi per gli utenti delle varie piattaforme social, che si limitano a condividerle.
Occorre distinguere: tra gli utenti che coscienti della falsità della notizia, scelgono comunque di diffonderla, i quali risponderanno dei reati, di cui sopra, in concorso con l’autore e coloro che, in completa buona fede, diffondono una notizia, credendola vera. In questo secondo caso, ovviamente, non si dovrebbe rischiare alcunché nel momento in cui si dimostra di non averne compreso la falsità.
Ciononostante, potendo scuotere le coscienze e condizionarne tanto i comportamenti quanto le opinioni, è comunque opportuno che ognuno ponderi accuratamente la condivisione di alcune notizie, verificandone l’attendibilità anche tramite i siti c.d. debunking.
Il rischio della diffusione esponenziale di fake, possibile tramite i social network ove ogni utente vanta almeno un centinaio di follower o amici, può innescare una catena potenzialmente infinita di condivisioni, comportando anche ripercussioni gravi ed importanti come in questi giorni di emergenza purtroppo sta succedendo.
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